Il mito della Grande Madre nella Venere di Frasassi

Il mito della Grande Madre nella Venere di Frasassi

All’inizio della civiltà vi era il matriarcato. Le donne avevano un ruolo di primo piano e garantivano altruismo e benessere per tutti, nel rispetto dei cicli della terra.

Nel 2007, nella grotta della Beata Vergine, all’interno del sito ipogeo Frasassi, venne rinvenuta una piccola statua, alta appena 9 centimetri dalle forme femminili, scolpita in un frammento di stalattite di ventimila anni fa risalente al Paleolitico superiore. Come Venere nacque dalle acque, così la piccola statua, rinvenuta all’interno di un ambiente ricco d’acqua, fu identificata come Venere di Frasassi. Lo straordinario reperto è la più antica testimonianza umana sul territorio marchigiano e una delle più antiche in Italia.
Attualmente la piccola Venere si trova nel museo archeologico di Ancona dove è studiata da un team di esperti, guidato da Mara Silvestrini della Sovraintendenza per i beni archeologici delle Marche. La copia della preziosa statua, realizzata dall’artista fabrianese Gabriele Mazzara, è custodita al Museo di Genga.

Il ritrovamento della piccola Venere all’interno delle Grotte ha subito suscitato l’interesse anche degli appassionati di mitologia che hanno visto nella statua il mito della Grande Madre, divinità femminile primordiale presente in quasi tutte le mitologie. Queste statuette venivano probabilmente usate come amuleti o idoli in rituali legati al culto della fecondità. La Madre Terra è il simbolo della Grande Madre che rappresenta il femminile come mediatore tra l’umano e il divino.
E’ la fonte di ogni nascita e il suo potere è nell’acqua: tutti gli esseri umani originano da lei, dal sangue della Dea Madre Terra (l’acqua) e dal suo corpo, la materia vivente (fanghi). Siamo tutti soluzioni marine.

L’origine della vita
Mare, sorgenti, fiumi, laghi, tutto nasce dal contatto con l’acqua: le divinità femminili, come le Ninfe e le Sibille, e i luoghi, come le caverne e le grotte. Dal mito di Deucalione e Pirra, variante greca del biblico diluvio universale, si racconta che, dopo il diluvio, si salvarono solo i due coniugi. Per ripopolare la terra, apparve loro la dea Temi che ordinò: “Chinate il capo e gettatevi dietro le spalle le ossa di vostra madre!”. I due presero le pietre (le ossa di Madre Terra) sparse lungo le rive del fiume e le gettarono dietro di loro. Ed ecco che le pietre si trasformarono in uomini e donne. Così venne ripopolata la terra e da quel giorno “gente” (laos) e “pietra” (laas) sono state designate pressappoco con la stessa parola in molte lingue. Nella rappresentazione simbolica della Preistoria e dell’età antica, l’acqua era il sangue di Madre Terra e la pietra la sua materia vivente. Nato da un’unica divinità femminile per partogenesi, il pianeta Terra assumeva l’aspetto di un sistema organico vivente che incuteva rispetto (Pansofismo Olistico).
L’ archetipo femminile della Grande Madre ha dominato la cultura, la religione, gli usi di molte civiltà dando un’immagine del mondo unitaria, di protezione, di rinnovamento, di rinascita e di saggezza. La Grande Madre è l’origine e il centro della vita ed ha infiniti aspetti: è ninfea, spirito, Musa, Grazia, Sophia. E’ madre e bambina. In senso più elevato è la vergine, Madre di Dio.

Civiltà matriarcale: egualitaria e pacifica
Nella Storia della Filosofia, da Platone a Hobbes, ritroviamo l’ipotesi del Matriarcato, o Ginocrazia (l’Età dell’oro), ma il primo studioso che approfondisce il concetto è Bachofen. Tuttavia, come si legge nel suo libro “Storia del Matriarcato“, la cui prima edizione italiana fu curata da J. Evola, Bachofen, non avendo supporto archeologico alle spalle, si convinse che il matriarcato fosse soprattutto un sistema di credenze popolari, sorpassate, a suo avviso, dalle più evolute civiltà patriarcali.
Bisogna attendere Marija Gimbutas, famosa e instancabile archeologa lituana, naturalizzata americana, studiosa della mitologia del mondo antico, perché venga inaugurata l’Archeomitologia, una nuova Euristica che riesce a dare supporto scientifico alla tesi del Matriarcato come fenomeno realmente esistito dal Paleolitico fino al Neolitico. La studiosa lituana spiega come la civiltà madrilineare della Dea fosse prospera ed evoluta, dedita alle arti della ceramica e del tessuto, sedentaria e soprattutto agricola, nonché egualitaria e pacifica (assenza di fortificazioni difensive). Era una cultura basata sulla condivisione e su una profonda connessione con il sacro che permeava ogni attività.

Violenza e decadenza
La fine della civiltà matriarcale venne decretata dai Kurgan, popolazioni guerriere a cavallo, provenienti dalle steppe del basso Volga e del Caucaso settentrionale, indicate come proto- indoeuropee. I Kurgan, così chiamati dalla Gimbutas, erano migranti nomadi, gerarchizzati, dediti all’allevamento, padrilineari, credenti in divinità maschili e molto violenti.
Kurgan, in lingua slava e turca, significa “tumulo” e, infatti, è nelle tombe a fossa che venivano seppelliti insieme il maschio, con i suoi armamenti, e le donne, o bambine, massacrate dalla comunità, quale sacrificio alla morte del maschio. I Kurgan furono protagonisti di immense stragi, saccheggiarono e bruciarono interi villaggi pacifici dell’Antica Europa matriarcale e, nell’arco di millenni, finirono per conquistare, attraverso diverse ondate migratorie che vanno dall’età del Rame fino al 3000-2800 a.C, la civiltà della Dea, sottomettendola e causando, di conseguenza, una decadenza della civiltà umana e un mutamento culturale. Fu la fine all’Età dell’oro, da cui nacque il mito del ricordo di Atlantide. Afferma la Gimbutas: «L’Europa del neolitico e dell’età del bronzo (6500-3500 a.C.) non è indoeuropea, Io l’ho chiamata “Europa antica“ per distinguerla chiaramente dalla successiva Europa indoeuropea (…)”. Nonostante le efferate conquiste, le Scienze Sociali ci insegnano che la cultura dei “vinti”, riesce a sopravvivere nonostante le persecuzioni perpetrate dai “vincitori”, come cultura sommersa e riscoperta tramite ritrovamento storico o riproponendosi sotto altre forme. Nel suo libro “Occidente misterioso”, il sociologo Galli si propone di riflettere sul significato della coesistenza tra i valori fondamentali, che informano l’Occidente, e valori alternativi che hanno accompagnato le sue più significative fasi di sviluppo: la fondazione ellenica della filosofia, l’affermarsi del cristianesimo, la rivoluzione scientifica ma anche culture alternative (gnosticismo, magia, “stregoneria “praticata da donne pagane che guarivano con elementi matristici e di medicina olistica) e movimenti che, rifiutando l’egemonia maschile, avevano una forte presenza femminile. La risposta a questi movimenti è stata in parte la repressione, in parte un salto culturale che ha assestato l’egemonia maschile su basi più solide come, ad esempio, gli ordinamenti politici fondati sul consenso (contrattualismo, democrazia, rappresentanza).

Dalla Sibilla al culto Mariano
Gli elementi culturali, mitologici e linguistici dell’antica Europa matristica rimangono evidenti in alcune civiltà pre-elleniche e pre-romane, come quella cretese e quella etrusca. La scoperta della piccola Venere a Frasassi testimonia come la cultura marchigiana sia stata caratterizzata da tranquille comunità agricole dove dominava, soprattutto negli Appennini, la leggenda della Sibilla, appartenente alla cultura spirituale della Grande Madre. D’altro canto, una testimonianza contemporanea della civiltà matristica è data dalla vivacità delle donne marchigiane, un tempo instancabili contadine mezzadre, oggi dinamiche imprenditrici: non è un caso che le Marche detengano, nonostante la crisi, un alto tasso di imprese femminili in crescita, in totale controtendenza nazionale dove, invece, risultano in calo (Dati CNA Marche). Evidente nel nostro territorio anche la trasformazione, dopo l’avvento del Cristianesimo, dell’entità spirituale femminile in culto mariano (Loreto e le vie Lauretane che passano tra gli Appennini). Il culto mariano è ciò che ci rimane del culto della Grande Madre.

Genga, luogo d’acqua e di sacro
A Genga, Frasassi e San Vittore, e in tutto il territorio fabrianese, si percepisce ancora la sacralità della Grande Madre trasformata nella venerazione della Madonna come quella che si trova nel Tempio di Valadier di Genga, vicino all’Eremo di Santa Maria Infra Saxa, fatto erigere da Papa Leone XII come rifugio e luogo di pellegrinaggio per i cristiani. All’interno del tempio, infatti, si trova la Madonna con Bambino, scolpita dalla bottega del Canova: la stessa iconografia che ritroviamo nei reperti archeologici precristiani. L’energia vitale della sacralità di Madre Natura è ravvisabile anche nel simbolo a spirale ad otto delle Terme di San Vittore, intelligentemente ripreso da dove è stato ritrovato: l’Abbazia di San Vittore alle Chiuse. I segni a spirale, riscontrabili in numerose ceramiche dell’Europa Antica teocratica, simboleggiano il serpente riconducibile al mito della Grande Madre ma soprattutto l’energia rigeneratrice dell’acqua. Una zona straordinaria, quindi, quella del comprensorio Frasassi, dove si percepiscono le orme tracciate dal cammino umano.
Lo stile di vita mediterraneo, prevalentemente vegetariano, semplice, olistico, i digiuni cristiano-cattolici, l’uso delle erbe nei conventi che ha portato alle moderne Naturopatia e Omeopatia, tutto ha origine nella civiltà matristica. L’acqua, elemento sacro per eccellenza della Dea e sorgente di vita, darà origine alle Terme romane fino ad arrivare alla moderna idrotermofangoterapia di Padre Kneipp, tedesco presbiteriano; l’ordine e la spiritualità della natura di matrice matristica ispirerà la straordinaria figura medievale tedesco-cattolica della Badessa Benedettina Santa Hidelgard Von Bingen: naturopata, mistica, visionaria, musicista, in grado di ricoprire tutto lo scibile dell’epoca, dichiarata da Papa Benedetto XVI Dottore della Chiesa Romana Cattolica. Una cultura matristica che ci ricorda che la nostra vita è inseparabile dalla nostra Madre, la Terra e dal Sacro Spirito da cui tutto dipende.

A cura di
Giovanna Bonfili

Articolo dalla rivista “Terme di Frasassi” n.3

 

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